
La London School of Economics ha recentenente pubblicato uno studio sul brain drain in Italia che il 16 aprile è stato presentato al presidente Monti. Lo studio è stato realizzato da un gruppo di ricercatori italiani, guidati da Simona Milio, che è Associate Director della Social and Cohesion Policy Unit della LSE.
E' interessante sottolineare che tittu gli autori della ricerca sono italiani che lavorano all'estero.
Per capire le dimensioni del fenomeno è importante fare una premessa. Nella società della conoscenza le persone sono capitale, e con una non felice espressione si parla di capitale umano.
Se si considera il fenomeno dell'emigrazione di laureati in senso economicistico, la perdita per il Paese è di dimensioni impressionanti. Wikipedia pubblica questo dato: è verosimile ritenere che nei quattro anni, dal 1996 al 1999, hanno lasciato il paese 12 000 laureati, in media 3 000 all’anno. Nel 2000, il tasso di espatrio dei laureati si attestava al 7%.
Poiché la spesa dello stato per formare un laureato si calcola in 300-400.000 €, il costo annuo del brain drain è estremamente rilevante, e il danno ancora maggiore se si considera che tra i primi 100 ricercatori italiani è 1 su 2 a scegliere di andare all'estero.
Ma lo studio in questione puntualizza un altro aspetto che incide profondamente sulla competitività del sistema-Paese: oltre a non riuscire a trattenere una parte dei migliori, siamo carenti anche nell'attrarre talenti dall'estero, con buona pace per le teorie di Richard Florida che hanno goduto di un buon successo negli anni scorsi anche in Italia. Quindi più che di brain drain è opportuno parlare di brain circulation.
Le politiche pubbliche, valutano gli autori, sono state di basso profilo e con scarso coordinamento. Guardando anche all'esperienza di altri Paesi (UK e Svizzera), gli autori suggeriscono di creare una task force che definisca una road map concreta, valutando costi-benefici, che possa essere attuata subito.
Di seguito alcune proposte, così come suggerite dall'executive summary:
- Al livello delle istituzioni, cinque sono le aree di azione principale: investimento nella ricerca pari a quello delle altre potenze economiche; scelte politiche precise che favoriscano la brain circulation; adozione di modelli atti a favorire lo studio e la specializzazione all’estero e il successivo rientro; creazione di partnership pubblico-private; facilitazione delle procedure peri visti di ingresso di ricercatori e talenti stranieri.
- Al livello delle università e degli altri centri di ricerca pubblici e privati, il lavoro da farsi è intenso e dovrebbe rientrare nell’ambito di una seria riforma universitaria. Si tratta di almeno nove linee d’azione principale: ristrutturazione dei concorsi universitari; istituzione di dottorati di ricerca secondo criteri moderni e competitivi; delocalizzazione all’estero dei periodi di formazione universitaria e post-universitaria; istituzione di centri accademici di eccellenza; riorganizzazione dei finanziamenti alla ricerca; corsi universitari in lingua inglese e internazionalizzazione dei curricula; ottimizzazione delle retribuzioni salariali; pensionamento obbligatorio a 65 anni per tutte le attività manageriali dei docenti universitari al fine di favorire il ricambio; istituzione di programmi di scambio.
Scarica Report_Brain-Drain (.pdf).