Non occorre necessariamente avere un alto PIL per essere innovativi, e ci sono tanti modi per esserlo; soprattutto propensione all'innovazione non coincide necessariamente con tasso di sviluppo; il Global Innovation Index assegna così il primo posto alla Svizzera, il secondo alla Svezia, gli Usa sono solo quinti - ma risalgono dalla 10° posizione, Malta (24°) e Cipro (27°) vengono prima dell'Italia (29°).
Il Global Innovation Index valuta una serie di elementi, e soprattutto è una media tra due indicatori: l'Innovation Input Sub-index - l'insieme di 5 indicatori compositi (vedi figura sopra) e l'Innovation Output Sub-index. Il terzo indicatore, l'Innovation Efficiency Ratio, è il rapporto tra l'Output e l'Input Innovation sub-index. Il GII viene costruito ogni anno da Cornell University, INSEAD e World Iellectual Property Organization.

Altro dato interessante: i primi 25 sono tutti Paesi ad alto reddito, le altre fasce sono reddito medio-alto, reddito medio e reddito minimo. Nelle tre classi ci sono comportamenti particolarmente virtuosi, ma ciascun Paese, per quanto reattivo, rimane all'interno della propria classe.
Negli anni c'è stata una evoluzione nelle politiche dell'innovazione. Sino agli anni '90 si preferiva un modello lineare: finnaziamento alle infratsrutture di R&S, supporto finanziario all'innovazione delle imprese, trasferimento tecnologico; si sottovalutava la capacità di assorbimento del sistema delle imprese e le richieste specifiche di supporto da parte delle regioni svantaggiate, mentre gli aspetti organizzativi e manageriali erano addirittura trascurati.
Recentemente è cresciuta l'attenzione al livello locale e l'attenzione si è concentrata su: promozione delle imprese high-tech, con alte competenze e creative; produzione di eccellenza nella ricerca; attrazione delle imprese globali; stimolo agli spin-off. La traduzione concreta è stata la focalizzazione su due obiettivi: sviluppo di settori ad alta intensità di conoscenza e clusterizzazione.
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